Portfolio: Trionfo e morte di Carnevale 1982

....Ma i pezzi della memoria ora sono qui, piccoli tasselli di un mosaico che è stato vivo, tasselli e schegge di un turbinio che Salvatore Di Vilio ha visto e ha riconosciuto. Senza cavalletto, senza trucchi, senza artifici, Di Vilio ha fotografato la festa e il rito: le immagini da eterna provincia felliniana che non è più; il gusto eccitato del trucco e del travestimento; le maschere viventi in cui un paese si riconosceva beffardo e malinconico; il tourbillon del ballo che fa frusciare le gonne e girare le teste; il teatro atellano che per qualche ora sbuca dal sottosuolo e torna a battere il piede al ritmo dell’allegria. Di Vilio si è aggirato nella festa con l’occhio di un Bruegel innocente, lui stesso parte della festa, lui stesso afferrato dal demone di Carnevale. E allora le sue immagini si spingono al limite, si sottraggono alla gabbia della tecnica: foto notturne sull’orlo del visibile, sfocamenti e sgranature che sono più commoventi di qualsiasi perfezione, tagli di luce e di nero da artista che non ha paura di guardare. Il suo occhio è incantato, ama quello che vede come se volesse toccarlo, e fissa nel suo obiettivo il contrario della morta obiettività. E cosa ha a che vedere con l’obiettività la follia di Carnevale, la santa follia che ci vuole tutti diversi e tutti unici? Oggi Salvatore Di Vilio è un fotografo professionista, che lavora da solo e insieme agli artisti di “Underworld”, Teresa Dell’Aversana e Francesco Capasso: ma ieri, trent’anni fa, era Salvatore, era uno di quei ragazzi che volevano che la vita scorresse liberata e semplice, e ogni sua foto lo dice, e dice il passare del tempo che cambia tutto. Dove sono oggi ’a Pantera, ’o Mussuto, ’o Marocco? E chi lo sa se Totonno ’a Maccarunara inforna ancora il pane, chi può dire se Catapepp’ ha trovato infine la pace, chi ci dirà se ’O Toro è ubriaco anche nell’aldilà? E chi si ricorda ancora di quelli che scendevano ’a Copp’ ’a Ferrumma, di quelli che salivano ra Chiazza Marì Atella, di quelli che sbucavano ra vascio Sucì, ra sott’’e Cierre, r’areto ’o Munazzero? E per quali misteriosi danzatori suona ora ’a Banda ’e Asse ’e Spade la sua stonata musica da New Orléans atellana? Oggi restano solo frammenti, poche immagini su una fragile pellicola, e la memoria di chi può dire: io ho visto. “Se ne vanno, se ne vanno! Le maschere se ne vanno!” “Ma perché? E dove?” “Se ne vanno dove si aspetta di risorgere, nel buio sotto la terra o dentro il buio delle palpebre calate sugli occhi.” “Ma torneranno?” “Il clarino non fischia, la grancassa è lacerata, le mani non sbattono più. Io non sento più la musica!” “Ma busseranno ancora alle nostre porte? Torneranno ad aprirsi i cortili, e i chiavistelli saranno tolti per farli entrare?” “Carnevale è di tutti e di nessuno, non ha né servi né padroni, e fa quello che gli pare. Chi può dire se tornerà? Io non lo so. Ma tu, tu sei pronto a spazzare via il falso carnevale che ci opprime? Sei pronto a riprenderti ciò che è tuo? Sei pronto a vivere in corpo e anima? Carnevale compare solo se i vivi e i morti si parlano tra loro, la vita la vive solo chi sa accettare che tutto passa, la musica comincia solo se sei pronto a ballare. Sei pronto?”
Giuseppe Montesano